un esempio da imitare in ogni regione o area vinicola
La prima grande rivoluzione nella storia della vire e del vino avviene nel vigneto ed è la potatura: grazie a questa pratica è stato dato un nuovo indirizzo alla qualità del vino. Per millenni il vino non ha beneficiato di altri miglioramenti sostanziali. Per lungo tempo il vino era contraddistinto da due fattori che ne condizionavano il miglioramento qualitativo: la facile ossidabilità e la poca serbevolezza, fattori peraltro concatenati fra di loro. I tentativi per mogliorare questo aspetto furono espletati prima dai Greci, con l’immissione nel vino di resina (ottenuta dal Pino di Aleppo), che svolgeva azione antisettica e quindi conservante. Ma una tale pratica non giovava alla qualità, anzi! Per inciso, ancor oggi nel vino greco Retsina viene aggiunta resina di Pino nel mosto in corso di fermentazione. I Romani poi utilizzarono l’acqua marina, sfruttando il cloruro di sodio per aumentare la pressione osmotica delvino e inibire la vita di lieviti e di batteri; con tale pratica il vino era esente da rifermentazioni e da malattie, ma il sapore che acquisiva farebbe diventare astemi tutti i bevitori di oggi. Si tratta di un fatto storico, così come quello rirortato da Petronio (I sec. d.C.) nel “Satyricon”, dove riferisce di una cena in casa di Trmalcione, che offrì vino di Falerno ultracentenario! Era un vino apprezzato da consumatori di allora, ma era anche una rarità che non faceva e non fa testo! In sostanza un’eccezione su cui non andiamo a fare considerazioni qualitative. Per essere conservato così a lungo, il vino veniva abbondantemente addizionato di miele, che, aumentando la pressione osmotica, inibiva la vita dei microrganismi presenti nella bevanda di Bacco. Furono gli Olandesi, verosimilmente, che nel ‘300 impiegarono per primi una tecnica atutt’ora attuale: l’abbucciamento di zolfo entro botti; lo zolfo, combinato con l’ossigeno atmosferico, origina anidride solforosa, che è un gas con effetto antisettico. Questo gas svolge un’azione di regolazione della fermentazione alcolica e di protezione dai batteri che arrecano malattie al vino. Tuttavia, impiegato solamente nel modo indicato la quantità che rimaneva nel vino era talmente scarsa da non essere in grado, di fatto, di svolgere le anzidette azioni nel vino, se non per tempi assai limitati. Un altro accorgimento impiegato per migliorare la conservazione del vino, fu quello di aggiungervi brandy, in modo che aumentasse la gradazione alcolica fino a una concentrazione che inibiva i microrganismi del vino, preservando conseguentemente dalla rifermentazione, ma non dall’ossidazione. Tale pratica era ed è ancor oggi alla base dalla produzione dei vini fortificati, che nacquero a suo tempo solamente per resistere ai lunghi trasporti marini. Una pratica simile consisteva nell’aggiunta di mosto cotto concentrato al vino. Finalmente nel XVII secolo avviene la seconda rivoluzione a vantaggio del vino; nasce la bottiglia di vetro per conservare il vetro per contenere e conservare il vino. Il primo esemplare viene messo a punto nel 1615 in Inghilterra. In effetti le bottiglie erano già in uso presso i Romani, ma solo per altri scopi, per esempio comecontenitori di profumi e di unguenti. Però fu solo nel 1676 che Sir Kenel Digby riuscì a fabbricare bottiglie di forma cilindrica spesse, pesanti e scure, del tutto idonee ad accogliere e a conservare lo Champagne: fu questo infatti il primo vino che beneficiò dell’imbottigliamento. Il passo successivo e finale fu quello di fabbricare bottiglie con il collo e l’imboccatura adatti a essere tappati con il sughero. È stato il ‘700 il secolo decisivo per la conservazione del vino e per la sua evoluzione olfatto-gustativa, una vera e propria rivoluzione, che ha permesso di classificare il vino per “annata”. A dire il vero già nel ‘300 in Toscana era stato inventato il fiasco che, a motivo della forma, dovette essere impagliato per garantirne la stabilità, ma anche così rivestito si rivelava scomodo per il trasporto. A poco a poco le bottiglie assunsero forme che caratterizzavano il luogo di produzione del vino: si pensi alla renana, alla bordolese, alla borgognona, all’albeis ecc. Nel 2004 ci ha provato, per la Sardegna, Ennio Pilloni, sardo di nascita e piemontese di tarda adozione, grande appassionato e cultore di vino e del mondo viticolo, enologico, gastronomico più in generale. Pilloni ha ideato una bottiglia a forma di nuraghe e quindi denominata “nuragheisa” il cui marchi denominativo “NURAGHEISA” è stato depositato. Si tratta di una bottiglia che subito, anche a un primo sguardo superficiale, richiama e identifica il famoso monumento megalitico caratteristico della Sardegna. È dunque una bottiglia che connota immediatamente il territorio. Le dimensioni e le proporzioni della nuova bottiglia sono state studiate e realizzate dall’architetto Filippo Franchetti, che ne ha fatto un oggetto perfettamente rispondente alle leggi ergonomiche. La “nuragheisa” infatti è di facile presa, quindi agevole da maneggiare da parte del sommellier nell’azione di servizio. La bottiglia è stata illustrata, nei suoi vari aspetti, sia dall’ideatore, sia dall’architetto, sia dallo scrivente, presso l’Enoteca Regionale della Serra alla presenza di un folto pubblico di appassionati e di produttori di vino. L’esempio di Ennio Pilloni sarebbe da imitare in ogni regione o area vinicola, anche se risulta oggettivamente difficile trovare per ciascuna zona una forma di bottiglia che evochi in modo tanto immeediato il territorio. Per ora gioiamo, da amanti del vino e del suo mondo, della “nuragheisa”, con la speranza che di tale bottiglia siano fatto esemplari a milioni, riempiti di ottimo vino sardo. Sarebbe la vittoria di tutti coloro che credono nel connubio viono-territorio-uomo.
OSSERVAZIONI PROGETTURALI - Sono state individuate tre categorie di rapporti precettive-sensoriali: visivi, tattili, funzionali. Lo studio degli aspetti visivi è stato interamente dedicato a sottolineare l’immagine del Nuraghe come segno emblematico di un’identità culturale e regionale. E cercando di raggiungere una fusione. Lo studio dei rapporti tattili della mano con la bottiglia ha guidato la ricerca ergonomica del progetto. Per quanto riguarda gli aspetti ergonomici risulta svantaggiosa la forma tronco-conica che psicologicamente suggerisce una sensazione di presa inaffidabile o sfuggente. Tale disagio è stato compensato dalle proporzione del corpo e dalla finitura della superficie che restituisce alla mano una sensazione di aderenza.